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L'ISOLA RECINTATA
romanzo di Maria Roberta Olivieri
ZONA 2012
pp. 206 - EURO 18
ISBN 978 88 6438 280 7
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Maledetto carcere, inevitabile e inutile, dove tutto diventa eccesso e melodramma. Gli schieramenti, le liti, gli amori, le gelosie, i reati, tutto si gonfia. Carcere, dove l'espiazione non raggiunge mai la consapevolezza; che assorbe i sensi di colpa, tampona i rimorsi. Pieno di prostitute, ladri, rapinatori, spacciatori, gente che non ci prova neanche a reprimere il proprio stato di violenza, perché non ha mai provato a farlo. Dove l'unico dovere sociale di cui si sentono investite le guardie è quello di eliminarti psicologicamente e a volte fisicamente; dove il disprezzo è il loro sentimento dominante e te lo senti addosso. Le donne sono puttane da chiavare, se belle, da ignorare, se brutte. Da provocare, sempre. Niente ha valore, alla fine, uno sciopero della fame, un suicidio, un braccio fracassato tra le sbarre, una persona ridotta in fin di vita da una malattia. Dove per ottenere qualcosa devi ingoiare lamette, tagliarti fino alla radice delle vene e approfondire un momento di disperazione diventa solo doloroso esibizionismo...
Un anno e mezzo trascorso all'interno di un carcere femminile, dall'ingresso in prigione della protagonista fino al suo rilascio. È l'esperienza - raccontata in prima persona - di Beba Rubbi, un'eroinomane ricca e borghese che finisce “incastrata” in un giro di spaccio. La vicenda, storicamente collocata a Modena nei primi anni '80, è in verità totalmente avulsada qualsiasi contesto storico. Tutto ciò che succede nel romanzo nasce e si esaurisce nella realtà di un mondo a sé stante, che vive dietro le sbarre. È uno “spaccato” sospeso nel nulla, nell'inesorabile nulla della routine carceraria, perché quello del carcere è un tempo senza senso, dove nomi e luoghi non hanno alcuna importanza. È la storia di una persona che racconta questa realtà da spettatrice, vivendola però fino in fondo, da “dura”, perché ha deciso di adattarsi comunque alla vita, anche quella della reclusa, senza compiacimenti, senza indugi, senza giustificazioni. La narrazione, cruda ma mai eccessiva, intensa ma mai drammatica, si sviluppa attraverso dei dialoghi tra la protagonista e le sue compagne di sventura. Così il racconto diviene anche il reportage di un'indagine che, quasi inconsapevolmente, Beba conduce sulla storia emotiva dei vari personaggi coi quali condivide la reclusione, siano essi detenuti o “guardiani”. Quest'analisi finirà per rafforzare in lei la convinzione che un'infanzia emotivamente deserta, com'è stata la sua, preluda necessariamente alla negativa condizione umana comune a qualsiasi “luogo d'orrore”, borghese o “coatto” che sia. |