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Qual è il tuo rapporto con la narrazione e la parola scritta?
Assolutamente ombelicale, di pancia. Tendo ad insistere sulla descrizione delle emozioni più che sulla trama, la storia, i luoghi, i personaggi.
Quali sono gli autori o gli stili ai quali ti riferisci, nello scrivere?
Non credo di avere uno stile di riferimento, almeno fino ad oggi. Credo, però, che la scrittura possa evolversi e se la mia si evolvesse in maniera diversa dai miei ultimi due libri mi piacerebbe avvicinarmi alla Michela Murgia di Accabadora e alla Margaret Mazzantini di Venuto al mondo.
Il tuo romanzo ha una struttura particolare, a "specchio", dove la protagonista vive le medesime vicende da una prospettiva diversa: perché la scelta di questo tipo di narrazione?
Fondamentalmente perché il libro è stato scritto in due tempi diversi e questo mi ha permesso di poter comparare due diverse prospettive, una assolutamente vendicativa e una di pacificazione. C'è anche da dire che, non considerandomi una scrittrice particolarmente talentuosa, non riesco ancora ad inventare dei racconti di sana pianta. In genere preferisco partire da sensazioni vissute e costruirci intorno un racconto.
Quali sono gli artifizi narrativi e linguistici che hai scelto per evidenziare meglio questo andamento narrativo, per suddividere più concretamente le due parti del romanzo?
Ho cercato di usare periodi non molto lunghi e per niente descrittivi nel tentativo, non so se riuscito, di dare un valore universale alla storia, rendendola non di una singola donna ma di tutte. E' per questo che, per esempio, non ho scelto un nome per la protagonista. Non è stato semplice raccontare le stesse vicende in maniera diversa. In alcuni momenti sono impazzita fra i fogli, davanti al pc e ho urlato. Ma tutto sommato mi è piaciuto molto poter provare a raccontare due stati d'animo differenti.
Può esistere, nella realtà, la possibilità di cambiare le nostre storie, magari solo ponendoci da un punto di vista diverso, da uno sguardo "altro"? O sono le vicende stesse, gli accadimenti, che ci permettono di cambiare prospettiva?
Talvolta sono le circostanze e le casualità a decidere per noi e a permetterci di avere delle visuali più ampie o anche più ristrette. Per esperienza personale sono, però, convinta che si arrivi a un punto in cui l'individuo debba necessariamente accettare di fare dei passi indietro e sottoporsi alla necessità quasi vitale di sprofondare. Credo che il vero sguardo ”altro” sia quello che troviamo il coraggio di rivolgere a noi stessi, anche alle parti peggiori di noi stessi. Dopo di ciò, guardare a tutto ciò che è “altro” al di fuori di noi diventa stranamente più semplice.
Nel tuo romanzo racconti la storia di una donna, il suo reagire alle situazioni: perché la scelta di una figura femminile quale personaggio principale?
Non sono una femminista, non tollero il concetto di “quote rosa”, non mi sento di stare sempre e solo dalla parte delle donne. Ma non ho incontrato ancora un universo maschile capace di ispirarmi completamente un racconto. Come ho detto non sono una scrittrice che riesce a raccontare sic et simpliciter una storia. Devo vivere un'emozione per essere ispirata verso un racconto da scrivere. E al momento non ho incontrato personaggi maschili di tale portata emozionale da farli diventare protagonisti assoluti di un mio racconto.
Il rapporto con te stessa e con il “femminile” come entra nella tua scrittura?
Il rapporto con me stessa è basilare per me quando scrivo. I miei stati d'animo vengono fagocitati dai miei racconti. Considero però questo aspetto un grande limite. E' per questo che sto esercitandomi per evolvere il mio stile e imparare a raccontare qualcosa di diverso dalle emozioni. Di conseguenza il mio “femminile” entra di prepotenza nella mia scrittura.
Per contro, nel tuo romanzo i personaggi maschili hanno un ruolo minore, solo funzionale alle vicende narrate, vengono raccontati dalla protagonista ma non diventano mai attori pienamente. Perché questa scelta e quale ruolo ha il maschile nel tuo romanzo?
Per la verità credo che il maschile sia preponderante nel mio romanzo. E' un lato del racconto senza il quale il racconto stesso non sarebbe nato. Oserei dire che il maschile è stato ispiratore di questo romanzo pur non diventandone protagonista.
Secondo te, esiste o dovrebbe esistere una scrittura “al femminile”?
Assolutamente no. Non amo le categorie, meno che mai nella scrittura. Esistono degli scrittori, maschi intendo, che hanno una tale capacità di rapire che se non avessi scelto il loro libro consapevolmente non avrei saputo dire se fosse stato scritto da un uomo o una donna.
"Via dell'Anima 38" è anche un luogo, una sorta di rifugio, reale o immaginario, per la protagonista. Come pensi rientrino i luoghi nelle nostre esperienze quotidiane e quale importanza hanno i luoghi nella tua scrittura?
Ho anche io una mia Via dell'Anima. E' a Roma, la città in cui vivo e che amo infinitamente. E' per me un luogo di conforto, di silenzio, di luce, la mia sosta. A Roma mi sento completamente in armonia con tutto ciò che c'è fuori. Ciascuno di noi ha un luogo che non necessariamente deve essere una casa, una città. A volte ci si sente a casa solo quando si è in pace con se stessi, ovunque si stia sostando o passando. Nel mio libro il luogo non è solo quello dell'arrivo. Credo che stia proprio nei vari momenti attraversati prima di arrivare.
Quale rapporto ritieni possa crearsi tra il tuo libro precedente - una denuncia forte e documentata di una tua esperienza personale e reale - e quanto racconti invece in questo libro di finzione?
Il mio primo libro, Confessioni di un avvocato senza laurea (2006, Cairo Editore) è autobiografico ed è la narrazione di quanto accaduto nella mia vita fino al 1 settembre 2005, data in cui ho scelto di presentarmi in Procura e raccontare i miei errori per essere di conseguenza sottoposta a un processo. Via dell'Anima 38 non è autobiografico nel racconto in sé ma solo nell'aspetto emozionale. Credo siano due lavori molto differenti, sia per stile che per struttura. Fra i due, Via dell'Anima 38 è più vicino al mio sentire, è più nelle mie corde. Qualcuno, ironicamente, mi ha scritto:”ma allora inventi ancora?”. Non provo amarezza per simili domande, mi fanno sorridere, ma mi lasciano anche riflettere su quanto difficile sia per gli altri accettare che chi nella vita ha commesso degli errori possa riuscire ad evolversi. Potrò anche scrivere un libro da Premio Strega o ricevere un'onorificenza per meriti dal Presidente della Repubblica ma resterò sempre quella che, quella che, quella che... eccetera eccetera. Ho la fortuna (per qualcuno imperdonabile perché scambiata per alterigia) di avere lavorato molto su me stessa per andare avanti comunque, libera dal giudizio e dal pregiudizio.
La tua scrittura intende svolgere anche un ruolo sociale, di rapporto con gli altri, con il tessuto culturale, con il mondo?
Al momento no. Ma non è escluso che un giorno io possa tirare fuori dal cassetto una mia bella inchiesta e raccontarla agli altri.
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